I PIR o piani individuali di risparmio sono stati introdotti dalla legge di bilancio del 2017, come forma di investimento a medio termine, al fine di indirizzare il risparmio degli investitori verso le medie e piccole imprese italiane.
I PIR sono riservati esclusivamente alle persone fisiche residenti in Italia e non potranno essere sottoscritti da aziende ed altre persone giuridiche. L’investimento minimo in un PIR è pari 500 euro e nel singolo PIR non si possono investire più di 30'000 euro; inoltre l’investitore non può superare la soglia di 150'000 euro complessivamente investiti in piani individuali di risparmio. Il piano individuale di risparmio presenta dei costi di gestione che variano a seconda del soggetto (SGR, società di assicurazioni ed altre) che lo propone all’investitore. Attualmente i PIR emessi sono molto pochi (poco più di 50) e presentano dei costi di gestione molto alti (alcuni arrivano addirittura al 5,50% annuo), che annullano ogni forma di sgravio fiscale sui rendimenti conseguiti tramite l’investimento nei piani individuali di risparmio.
I vantaggi per l’investitore risiedono, infatti, nei benefici fiscali cui danno diritto i PIR. Tali strumenti infatti prevedono un orizzonte temporale minimo di investimento pari a 5 anni per poter usufruire del beneficio fiscale della non tassazione dei rendimenti conseguiti, siano essi capital gain, dividendi, cedole. I PIR sono inoltre esenti da imposte su successioni e donazioni e non vi è un limite di durata massima temporale dell’investimento.
I piani individuali di risparmio consentono agli investitori che li sottoscrivono di investire in svariati strumenti finanziari come azioni, obbligazioni, quote di fondi di investimento ed altri strumenti di mercato monetario. Il 70% del capitale investito nel PIR è destinato all’investimento in strumenti finanziari emessi da aziende italiane o da aziende europee che abbiano un’attività stabile in Italia. Il restante 30% viene investito generalmente in strumenti di mercato monetario come i conti deposito, ma anche in strumenti derivati con finalità di copertura dei rischi. Il 30% del 70% (ossia il 21% del capitale investito nel PIR) è destinato all’investimento in strumenti finanziari emessi da imprese non incluse nel FTSE MIB, ma appartenenti a segmenti di mercato diversi come lo Small Cap (composto da aziende con capitalizzazione inferiore al miliardo di euro), il Mid Cap (composto dalle prime 60 società a media capitalizzazione che non rientrano nel FTSE MIB), lo STAR (composto da società con capitalizzazione compresa tra i 40 milioni ed il miliardo di euro) e l’AIM (acronimo che sta per Alternative Investment Market, composto da piccole-medie imprese italiane ad alto potenziale di crescita). Inoltre i PIR possiedono un “vincolo di concentrazione” che vieta che più del 10% del capitale investito in un piano individuale di risparmio possa essere destinato a strumenti emessi dallo stesso emittente (ad esempio il peso di azioni ed obbligazioni Eni non può superare il 10% del capitale investito nel PIR).
Al lettore attento non sarà sfuggito a questo punto un controsenso in quanto si è scritto finora. Il fine con cui sono stati introdotti i PIR è quello di destinare le risorse finanziarie messe a disposizione dagli investitori alle piccole e medie imprese italiane. Fine che viene disatteso dalle percentuali di investimento, quel 21% che è ulteriormente ripartito con aziende dei segmenti Small Cap, Mid Cap e STAR. Il tessuto imprenditoriale italiano è composto per più del 95% da piccole e medie imprese. Risulta matematicamente impossibile pertanto, che i PIR possano fornire risorse e sostegno alle PMI come in realtà dovrebbero fare.
Il legislatore sta cercando di risolvere il problema dello scarso finanziamento alle PMI italiane attraverso i PIR, introducendo ulteriori vincoli nell’allocazione del capitale sottoscritto nel piano individuale di risparmio. Con la manovra di bilancio per il 2019, a partire dal primo gennaio 2019, i nuovi piani individuali di risparmio dovranno necessariamente investire il 3,5% della quota del 21% in PMI ammesse alla negoziazione sul segmento AIM Italia da non più di 7 anni ed il 3,5%, sempre della quota del 21%, in azioni o quote di fondi venture capital residenti in Italia. Con questi nuovi vincoli sicuramente aumenta il profilo di rischio dei PIR (criticità che attraverso un’opportuna diversificazione può essere tenuta assolutamente sotto controllo), ma al tempo stesso si ottempera maggiormente all’obiettivo prefissato di introdurre nuove forme di finanziamento per le PMI italiane.
Concludendo, lo scopo con cui sono nati i PIR è sicuramente lodevole, tuttavia:
· i costi di gestione annui altissimi (che si applicano sull’intero capitale sottoscritto) non sono minimamente compensati dagli sgravi fiscali ottenibili sui rendimenti forniti dal PIR (che si applicano sui dividendi, sulle cedole e sugli eventuali capital gain, quindi su una piccola parte del patrimonio sottoscritto nel PIR);
· il capitale allocato a favore delle PMI italiane è decisamente troppo poco e non risolve assolutamente il problema del finanziamento alle piccole e medie imprese che costituiscono più del 95% del tessuto imprenditoriale italiano;
· il vincolo di concentrazione del 10% massimo del capitale sottoscritto in strumenti emessi da una società è troppo elevato e non consente di effettuare un’opportuna diversificazione. Se si considera in aggiunta che è prassi comune destinare quei 10% a società molto capitalizzate e già affermate, la produttività del capitale sottoscritto nel PIR dall’investitore è piuttosto risibile.
La soluzione quale può essere quindi? Acquistare ETF che investano in segmenti del mercato specifici, seguendo un criterio di capitalizzazione delle società. Sicuramente l’ETF è meno efficiente di un piano individuale di risparmio dal punto di vista fiscale, ma il vantaggio di avere commissioni molto più basse è schiacciante.
Paolo Bascelli
Milano, 24/09/2019
Disclaimer: Questo articolo è frutto delle opinioni di chi lo ha redatto e supervisionato. Nessun compenso viene ricevuto per l’espressione di queste opinioni. Si dichiara inoltre di non avere alcun rapporto commerciale con le società e gli enti di ricerca menzionati in questo articolo.
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